Il paradosso dell’identità

di Davide Milonia

Roma, come narra la leggenda, è stata fondata da Romolo che favorito dagli auspici ha tracciato un solco definendo un dentro e un fuori. Recentemente i giornali hanno riportato una notizia archeologicamente e storicamente significativa: è stato ritrovato, in piazza Augusto imperatore, un cippo pomeriano posto dall’imperatore Claudio. I cippi pomeriani indicano i confini della città, quello spazio posto al di là delle mura che non si poteva oltrepassare in armi. Questi confini venivano definiti in base alle esigenze di ampliare la città e di tenerla comunque ben definita. L’importanza cruciale del rispetto dei confini è testimoniata proprio dalle origini: Romolo uccide il fratello Remo per non aver rispettato il veto posto dal solco dell’aratro. Possiamo tranquillamente affermare che molte guerre si sono combattute per proteggere o ampliare i propri confini; per tracciare un solco che dichiari ciò che è ammesso ad entrare e ciò che non lo è; per evidenziare la differenza tra conosciuto e sconosciuto, tra amico e nemico, tra cittadino e straniero.

Mantenere l’integrità, l’unitarietà, la stabilità è l’obiettivo comune  non solo a tutti i popoli e nazioni, ma a ogni singolo individuo. La definizione identitaria di sé o di un popolo/nazione, si caratterizza per la sua pretesa di stabilità, unitarietà, autoreferenzialità e immutabilità.

Identità è una parola ambigua perché indica qualcosa di impossibile: uno non è mai identico a se stesso.

Roma di Romolo, di Augusto, di Claudio, non è la Roma di oggi e neppure io sono il me di 20,30, 40 anni fa. Presa alla lettera identità dovrebbe indicare una sostanza data una volta per tutte. Ma questo è impossibile sia a livello di singolo che di popolo.

L’identità si acquisisce in relazione all’altro e tramite il riconoscimento dell’altro e proprio per questo nasce una contraddizione: da un lato bisogno restare identici a se stessi e tenere fuori lo straniero, cioè l’altro , da un altro versante “l’Altro” ci serve per essere riconosciti. Sul piano economico questa contraddizione si è evidenziata durante i regimi totalitari con economia chiusa: hanno retto per un po’ di tempo ma poi sono collassati. Le economie capitaliste e globali battono la strada opposta: apertura dei mercati e “invasione” di potenze economiche creano ricchezza, ma richiedono una tolleranza, non sempre accettata a livello individuale, della presenza del “Altro”.

Assistiamo sempre più a una spaccatura tra bisogno identitario (stabilità, univocità) e sfaldamento e labilità dei confini: cos’è che resta fuori e cos’è che può entrare.

La società liquida teorizzata Z. Bauman è una società che vive per il consumo dove tutto è merce, anche i rapporti; è una società prodotta dal capitalismo e dall’apertura a tutto. Non c’è spazio e tempo per il riconoscimento. Le relazioni sono merce da vendere in grande quantità e rapidamente.

Nei giovani, cartina al tornasole della società in cui vivono, questa “liquidità “ si manifesta nella difficoltà a darsi una identità. Il numero di ragazzi e ragazze che non riescono a riconoscersi in una identità stabile, anche sessualmente, è in crescita continua.

Sempre più spesso sento dire sono “bisex”, “queer”, “fluid”ecc. definirsi è difficile perché non c’è spazio per un dentro e un fuori, tracciare un solco e permettersi di spostarlo in base alla creazioni di relazioni significative per il  riconoscimento. Anche tra coloro che si definiscono eterosessuali, la situazione non è molto diversa: le app di incontri permetto “relazioni” veloci, non impegnative, che vanno diritte al sodo.

Se da un lato, tracciare un confine e stabilire una linea di demarcazione tra sé e l’altro, tra dentro e fuori, tra me e te, che risponde all’esigenza di stabilità, di univocità, autoriconoscimento, comporta il rischio di chiudersi all’Altro impoverendo l’essere esperienziale; dall’altro lato il bisogno di aprirsi, allentando i confini, può arricchire ma allo stesso tempo si rischia squagliarsi e appiattirsi a un Altro solo immaginario e mitizzato.

La giusta misura, quella di mezzo è la soluzione? Non credo ci sia una soluzione univoca, essa spesso trascende il singolo individuo e si colloca in ordine diverso, fuori dalla portata personale. La difficoltà sta proprio nella capacità/possibilità di oscillare tra identità e alterità, tra dentro e fuori, tra chiusura e apertura. Permetterci di spostare il nostro cippo pomeriano per ampliare i confini o aprirci al diverso, al nuovo. Nuovo che scandalizza, difficile da digerire, accettare e accogliere nella prospettiva di un arricchimento e non di una perdita-invasione.