Perchè una psicoanalisi della Relazione

Tratto da sipreonline.it (https://sipreonline.it/chi-siamo/modello-sipre/)

Con le sue coordinate teoriche, il Modello di Psicoanalisi della Relazione si propone di rileggere la ricca tradizione psicoanalitica che va da Freud a Ferenczi, dalla Klein a Bion, da Sullivan a Levenson, da Winnicott a Kohut, ecc., alla luce dei presupposti epistemici attuali. Ne deriva un punto di vista nuovo e originale.

La partecipazione dell’osservatore

Si sente sovente dire che “tutti siamo relazionali”, ma non sempre il significato dell’affermazione viene esplicitato. Assumere il contributo soggettivo dell’osservatore al campo di osservazione ha significato aprirsi a una nuova visione della psicoanalisi: il rapporto paziente/analista non viene più pensato “a senso unico” né, quindi, in una prospettiva oggettivante. Ogni “relazione” viaggia a doppio, triplo, quadruplo senso. È a tutti gli effetti un’interazione e non è solo l’analista ad osservare.

L’osservatore è presente con tutta la sua soggettività

La faticosa messa in discussione della visione classica dell’analista neutrale, il gran dibattere sulla sua presenza cosciente o inconscia, l’approfondimento del suo intervento intenzionale o spontaneo, mostrano quanto sia difficile recepire questa prospettiva. Eppure, vista l’incidenza dell’osservatore sull’osservazione, sembra inevitabile dover prendere atto della presenza, nell’interazione paziente/analista, della soggettività dell’analista in tutta la sua globalità. Paziente e analista interagiscono entrambi in base a ciò che soggettivamente essi sono. Entrambi portano nell’interazione la loro soggettività.

La relazione analitica è interazione di soggettività

Mentre siamo allenati a leggere il paziente nella sua realtà psichica, somatica, affettiva e anche relazionale attraverso il transfert, meno facile è fare altrettanto per l’analista. Eppure, a meno di pensare che fare l’analista sia solo rappresentare un ruolo, sembra ovvio costatare che ogni analista si pone nella relazione in funzione di quello che di fatto è: dalla scelta di che cosa dire e quando, dal tono della voce ai silenzi, tutto nel rapporto con il suo interlocutore rivela la globalità della sua soggettività. L’interazione clinica è multiverso.

Mutualità e a-simmetria

Viene in genere dato per scontato che l’analista sia il detentore dei significati; un po’ meno, che lo sia anche il paziente. Quando due o più sistemi umani entrano in interazione tra loro, non è pensabile che solo uno possieda la “verità” e soprattutto la “verità” sull’altro. Tutti possono interpretare l’interazione quale veicolo della soggettività di tutti. Tutti i partecipanti possono cogliere che cosa sta succedendo nell’interazione. Fare l’esperienza di un’interazione che riconosce come stanno le cose è terapeutico. Naturalmente, tutto ciò non comporta che possa, o addirittura debba, essere abolita la fondamentale asimmetria che caratterizza la relazione analitica stessa. Mutualità nella produzione dei dati non implica in alcun modo simmetria di ruoli e responsabilità. Significa semplicemente che come ad esempio ha scritto Aron, l’analista può continuare, se vuole, a porsi dietro il lettino ma non può più nascondersi dietro di esso.

Interazione e meta-interazione

Il contenuto dell’intervento analitico non è più il passato, ma quanto accade nell’hic et nunc dell’interazione analitica. È ovviamente nella “”storia” del soggetto che è possibile rintracciare i significati personali alla base della sua organizzazione, ma è nel presente della seduta che l’interazione può essere colta a livello “meta”. Solo l’Io-soggetto, per la sua capacità riflessiva, è capace di meta-interazione. La meta-interazione non è tuttavia riducibile né al solo livello verbale né tanto meno a quello cognitivo; non passa, cioè, per l’auto-riflessività intesa come un sapere esclusivamente cognitivo su sé e/o sull’altro. La meta-interazione è contatto, appropriazione dello stato presente: solo allora il sistema può guardare il futuro. La meta-interazione è presenza a se stessi.

In concreto

• le configurazioni dell’Io-soggetto sono costruite in base ad esperienze interattive: ciò vale per lo sviluppo “normale” come per lo sviluppo “patologico”; • tali configurazioni, essendo sistemi dotati di plasticità, tendono a modificarsi poiché la vita è movimento; • nella patologia esiste una “direzione” che l’Io-soggetto ha dato alla sua vita, pur rimanendo “aperto” a nuove esperienze interattive; • l’interazione analitica duale o sovraduale è l’ambito di osservazione; • l’interazione paziente-analista provoca e sostiene il processo terapeutico; • il cambiamento in quanto tale non è non può essere l’obiettivo dell’intervento. Solo il singolo Io-soggetto può “sapere” che cosa è possibile per lui. Ciò che veramente conta è la presenza a se stessi.