L’unità del soggetto

 

L’unità del soggetto

di Davide Milonia

Nel Simposio, Platone convoca gli intellettuali ateniesi a discutere dell’amore. Arrivato il turno del commediografo Aristofane questi racconta un mito:” Un tempo gli uomini erano perfetti, non mancavano di nulla e non c’era distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spacco in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione”. Aristofane continua a descrivere  la vicenda che ha indotto Zeus a tagliare gli uomini in due parti: “allora c’erano tra gli uomini tre generi, e non due come adesso, il maschio e la femmina. Ne esisteva un terzo… l’ermafrodito che aveva entrambi i caratteri...” per la loro compattezza erano molto forti e orgogliosi. Zeus li taglio in due per renderli più deboli. Il risultato di questa “scissione” è stato :

-che i generi si sono ridotti da tre a due;

-ogni metà  ricerca l’altra metà per ricostituire l’unità originaria;

-una grande confusione per il fatto che la metà femminile o maschile può avere origine differente e può incontrare l’altra metà che corrisponde per sesso ma non per origine.

Il mito raccontato da Aristofane permea profondamente la cultura occidentale e implicitamente giustifica l’esperienza diretta vissuta da tutti gli esseri umani: il senso di incompiutezza, di vuoto, di mancanza e di invidia per chi si sbaciucchia teneramente quando non si ha un partner e ci si sente soli. I miti hanno una forte presa sul nostro immaginario per il fatto di dare una risposta romanzata a un vissuto altrimenti incomprensibile. La storiella della ricerca dell’altra metà è così radicata nella nostra mente che viene presa a fondamento e teoria della coppia perfetta e della completezza stesse dell’essere umano: non si è completi se non si è accoppiati e accoppiati nel modo “giusto”, che per i greci era sia omosessuale che eterosessuale e, per Aristofane, quella omosessuale maschile era quella perfetta perché costituita da due emiparti derivanti dal sole (l’entità unitaria maschile è associato al sole, quella femminile alla terra e quella ermafrodita alla luna).  Il mito viene spesso tradotto nell’ideale di coppia che fonda i singoli in un tutt’uno indistinto. Inglobare l’altro o esserne inglobato sembra essere la soluzione perfetta per sanare la ferita della solitudine e della mancanza. Al vissuto di solitudine e di vuoto esistenziale si pone rimedio con la ricerca del partner che riempie e completa;  “…e i due diventeranno una sola carne”, rincara Gesù in Matteo 5,28., chiamato a dirimere la questione del “divorzio”.  Abbiamo da un lato il vissuto personale e dall’altro il mito greco e il comandamento cristiano, e prima ancora giudaico, a giustificare e dare senso a ciò che si prova. La soluzione al senso di solitudine viene spostato all’esterno, creando il presupposto per la dipendenza dall’altro, distogliendo lo sguardo dal soggetto come unità separata dal resto del mondo. Il senso di vuoto e di solitudine non indica una menomazione, ma è il sintomo di un processo in atto di consapevolezza del proprio essere a sé, del proprio essere separato e non più fuso con la “madre” originaria. Passare da una madre a una moglie/marito non permette la transizione da oggetto (di cure materne) a soggetto (della propria vita). Se non si è compiuto questo passaggio, nell’incontro con l’altro, si ripristina surrettiziamente l’unità originaria che in quanto tale è sterile, resta cioè narcisistica, chiusa in sé. Nel mito, Aristofane prevede una tale eventualità:

Da questa divisione in parti, infatti, nasce negli umani il desiderio di ricreare la primitiva unità, tanto che le “parti” non fanno altro che stringersi l’una all’altra, e così muoiono di fame e di torpore per non volersi più separare. Zeus allora, per evitare che gli uomini si estinguano, manda nel mondo Eros affinché, attraverso il ricongiungimento fisico, essi possano ricostruire “fittiziamente” l’unità perduta, così da provare piacere (e riprodursi) e potersi poi dedicare alle altre incombenze cui devono attendere.”

Spostare sull’esterno la soluzione alla propria crisi identitaria significa per certi versi riproporla. Si ripropone con il partner la richiesta di essere riconosciuti come parte integrante dell’altro, come oggetto di amore a conferma del proprio valore, come oggetto a cui non si può rinunciare. La domanda di amore:“mi amerai per sempre?” è una domanda rivolta alla madre: “sarò sempre tuo/a figlio/a?”. E’ una richiesta di indissolubilità, di perpetua rassicurazione che nulla cambierà, una ananmesi intrauterina. Tuttavia, come il mito di Aristofane suggerisce e quello di Narciso ammonisce, se non ci si apre all’altro, se non facciamo entrare Eros nella vita, il messaggero di  novità, non è possibile essere generativi.

Una coppia fondata sul riconoscimento statico del “per sempre”, resta sterile, nel senso che non permette al singolo di crescere e sviluppare la propria soggettività. Una tale coppia è destinata a spegnersi. Il fuoco dell’innamoramento prende vita dal desiderio di ricostituire l’unità perduta, ma ha bisogno di rigenerarsi  per non morire e questo compito spetta a Eros che deve essere generato dalla coppia con Astuzia e Desiderio (Poros e Penia).