Dipendenze, il tramonto del desiderio

di Diego Sedda

Le dipendenze o disturbi da Addiction (termine inglese derivante dal latino addictus che indica lo schiavo od il servitore che diventa tale se contrae debiti e non li onora), sono comportamenti caratterizzati da scarso controllo, spesso rischiosi, che vanno dall’uso ed abuso di sostanze come la droga o l’alcool, alle spese, al gioco, al sesso, alle mangiate ( bulimie, binge eating), compulsivi. Inizialmente, tali comportamenti possono avere la funzione di procurare piacere e di alleviare un malessere interiore. Successivamente, gradualmente si sostituiscono al malessere, e divengono essi stessi il pensiero costante, il bisogno da soddisfare assolutamente, il centro del mondo di chi ne è portatore.

Le dipendenze presentano un insieme di comportamenti caratteristici:

  1. Ridotte capacita di controllo
  2. desiderio di smettere o ridurne l’uso, ma senza successo;
  3. craving, ovvero un intenso desiderio compulsivo riferito ad un oggetto/comportamento che può manifestarsi in qualunque momento ma è più probabile avvenga in presenza di stimoli “trigger “ (grilletto) associati allo stesso.
  4. Possibile compromissione del funzionamento sociale
  5. Esposizione a situazioni di compromissione della propria e dell’altrui incolumità
  6. Esposizione a tracollo finanziario
  7. Compromissione della salute.

Facendo riferimento all’intenso e fondamentale saggio di Benasayag e Schmit (2004) , occuparsi delle dipendenze significa, come riportato nel saggio Nel magma bullismo (2013), fare i conti con le complessità, i paradossi e le contraddizioni che pervadono l’odierna società: il passaggio da un consesso stabile e consolidato ad uno in cui è netta la discontinuità con il passato ed estrema la diffidenza verso il futuro, in cui sono visibili la crisi del principio di autorità e le continue coercizioni delle seduzioni commerciali. Significa fare i conti con la questione fondamentale dei limiti che garantiscono ad ogni comunità la sua sopravvivenza, limiti che appaiono essere particolarmente incerti e labili in questa società postmoderna che oramai da tempo sta deragliando verso una pericolosa destrutturazione del senso etico, una società liquida, dove niente è più certo dell’incerto.

E’ difficile pensare che in questa epoca di passioni tristi, le dipendenze   siano espressioni di tristezza, o di depressione, intesa in senso psicopatologico, si tratta piuttosto di disinvestimento, di assenza di desiderio, assenza di passioni, sostituite da compulsioni. Potremmo affermare, senza tema di essere smentiti, che siamo nell’ “epoca del tutto va bene ma va bene anche il contrario di tutto ”.

Perché assenza di desiderio? Perchè disinvestimento? Perché così tanti giovani (e non solo) presentano problemi di dipendenza? Che relazione c’è tra assenza di desiderio e dipendenze? E’ psicopatologia o forse espressione di un disagio sociale che ormai pervade tutte le società occidentali?

Da questo vertice di osservazione la prima riflessione che sorge è che forse le dipendenze sono difensive dalla minaccia di abbandono che è intrinseca a qualunque forma di investimento su una persona, o su un progetto. Ritirare l’investimento affettivo è la reazione più probabile di chi ha paura. Come afferma Recalcati (2006), già Freud sosteneva che “Nel rapporto del bevitore con il vino si ha l’impressione dell’armonia più perfetta un’immagine esemplare di matrimonio felice”. La bottiglia per Freud diventa quindi la partner rassicurante perché c’è sempre, perché esclude la partner erotica che potrebbe andarsene.   Successivamente, in un’opera del 1929, Il disagio della civiltà, Freud trasforma l’alcool da oggetto di amore esclusivo, in analgesico contro la sofferenza.

Del resto il desiderio è fondato sulla mancanza, si ha desiderio per qualcosa o qualcuno che non c’è, ma l’assenza dell’altro è da molti, forse da troppi, vissuta non come mancanza ma come sofferenza, come vuoto, un vuoto da riempire continuamente, compulsivamente attraverso gli oggetti feticcio che danno la garanzia di esserci sempre. Zygmund Bauman (2009) osserva come oggi sia sempre più diffusa la convinzione che esista un nesso tra la sensazione di felicità e la quantità e qualità del consumo. Egli ritiene che la modernità nella quale viviamo, abbia come unica costante il cambiamento e come unica certezza l’incertezza. dove ad una liberta’ mai vissuta in precedenza, fa da contraltare una felicità ambivalente, insicura, rassicurante solo se idealizzata, che va inseguita, dato che la felicità sicura non esiste. Sapienti strategie pubblicitarie inducono e rafforzano tale processo psicologico: la perpetua illusoria ricerca di soddisfazione che diviene inesorabilmente dolorosa insoddisfazione. Questa “bulimia senza scopo” sposta quindi dal possesso ed appagamento dell’oggetto all’idea di poterlo avere subito, perché carica di aspettative non ancora (immancabilmente) deluse.

Quel disavanzo tra attuale e futuribile è stato praticamente annullato dalla pressoché coincidenza tra reale e virtuale, tra desideri e loro realizzazione. È in questo contesto che M. Mc. Luhan (1996) colloca un nuovo modo di concepire il tempo e lo spazio: “ tutto è fugace e rarefatto: il tempo accelera e poi comincia a restringersi. In pochi minuti passano anni.” Non più l’attesa, la distanza, la mancanza, il desiderio, ormai spazio e tempo sono aboliti, ma la simultaneità il coinvolgimento globale ed immediato, il “tutto e subito”.

Perché le dipendenze pervadono più o meno sotterraneamente così tanti individui oggi? Probabilmente sono un antidoto al vuoto, la cui espressione sintomatica più evidente, il panico, che in questi tempi si è cosi massicciamente diffuso, forse ce ne da’ la cifra.

Le dipendenze costituiscono il nuovo paradigma, sono le nuove sfide che gli psicoterapeuti si trovano ad affrontare. Il passaggio da pazienti che presentavano un conflitto nevrotico , a pazienti che ci sbattono in faccia il “no entry” delle dipendenze, non è di tutto riposo. L’approccio psicoterapeutico, nell’esplorare gli ambiti soggettivi di questi pazienti, non può non tenere conto dell’incidenza delle immanenti contraddizioni sociali. Le stesse interpretazioni psicoanalitiche se impiegate isolatamente, in assenza di una più ampia lettura sociologica e politica, senza una   franca visione della cultura di riferimento, rischia di perdere di senso. Questo non significa invadere ambiti di pertinenza di altre discipline, e nemmeno dimenticare il ruolo dell’analista ed il rapporto che si instaura tra lui ed il paziente. Del resto se una cosa vale l’altra, se tutto è relativo se il disinvestimento non rappresenta più un meccanismo nevrotico, se non ci sono limiti perché non esiste più il divieto del Super-Io ma è il regno dell’Es, le dipendenze potrebbero acquisire un nuovo statuto che le rende non solo un’espressione o fenomeno sociale ma una forma di narcisismo che Green A. (1983) definisce di morte. Allora, in questa epoca di passioni tristi, in assenza di limiti, dove “tutto e’ possibile”, e dove “tutti i pensabili sono resi possibili”, nel lavoro analitico con le dipendenze, il collegamento tra il sociale ed il clinico può essere il riconoscimento della “pulsione di morte” che si declina nel lavoro analitico anche con la resistenza dei pazienti a guarire e che Freud ha teorizzato nel 1920 in Al di la’ del principio di piacere. Da questa prospettiva il disinvestimento assume allora una diversa accezione clinica richiamando al “Nirvana”, dove, sempre secondo Freud, l’apparato psichico ha la tendenza a ridurre al minimo od ad azzerare la quantità di eccitazione proveniente dall’esterno o dall’interno. Se non al desiderio di morte è possibile pensare alla morte del desiderio.

La qualità del processo analitico, non può che riguardare il passaggio dal godimento immediato, dal tutto e subito, alla sublimazione ovvero all’attesa…al desiderio. Aiutare il paziente significa allora, accompagnarlo nel difficile processo di superamento del paradosso che una maggiore presenza a se stesso comporta cogliersi nei propri limiti.

 

BIBLIOGRAFIA

Bauman. Z,. L’arte della vita. Laterza. 2009

Benasayag M. Schmit G.   L’epoca delle passioni tristi. Feltrinelli, 2004

Chiavarone L., Sedda D., Nel magma bullismo. Adolescenti, famiglia, scuola al tempo del disagio globale. Ed Aracne, 2013

Freud S., Al di là del principio di piacere. 1920 Opere. Vol. XI

Freud S., Il disagio della civiltà. Opere 1929. Vol. X

Green A.,. Narcisismo di vita, narcisismo di morte. Borla 1985

Mc. Luhan M., La galassia Gutemberg: nascita dell’uomo tipografico. Armando Editore, 1976

Recalcati. M., Civiltà e disagio. Forme contemporanee della psicopatologia. Mondadori. 2006

Valdrè R., Sulla sublimazione. Un percorso del destino del desiderio nella teoria e nella cura. Mimesis. 2015

 

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